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Una foto che dice tutto di Hunt: donne e motori |
(13/6/2013) – Se
ancora oggi un pilota di primo piano come Raikkonen ne fa un idolo e ama identificarsi
in lui indossando spesso un casco identico o se Hollywood punta sulla sua
figura per sbancare il botteghino, quel qualcuno deve aver lasciato davvero un
segno. Quel qualcuno è James Simon Wallis Hunt, di Epson, Surrey, campione del
mondo di Formula 1 nel 1976. Venti anni fa (il 15 giugno 1993), nella sua casa di Wimbledon, un arresto
cardiaco pose fine, all’età di 45 anni, alla sua esistenza. E che esistenza. Alto
1,81. Misura scarpe: 46, tanto che doveva tagliarne la punta per stare comodo
nell’abitacolo. Le corse, le donne. Fumava e beveva. Giocatore incallito di squash.
Aveva paura di morire in gara e lo dichiarava apertamente. Attacca-brighe:
litigi e scazzottate con i commissari di percorso a Montecarlo e con i
giornalisti brasiliani a Interlagos. Senza mezze misure. Scanzonato. Refrattario alle regole. Il
campionato conquistato all’ultima gara in Giappone, strappato per un solo punto
al redivivo - dopo l’incidente del Nurburgring - ma timoroso Lauda, fu l’apice
di una carriera e forse della sua vita che raccontiamo anche attraverso le sue
parole.
“Le corse, per me,
sono la cosa più importante”
Figlio di un agente di cambio e destinato alla professione
medica, arrivò presto alle corse.
“La mia è una famiglia
fuori da certi schemi obbligati. Quando i miei genitori seppero che volevo
dedicarmi alle corse furono contenti e in casa mia non ci furono neppure una di
quelle tragedie che hanno accompagnato gli esordi di tanti miei colleghi”
La prima gara l’effettuò nel 1967 su una Mini. Era veloce,
voleva bruciare le tappe e per questo non risparmiò molti telai delle sue
monoposto. In Inghilterra non era molto considerato, tanto da essere
ribattezzato “Hunt the shunt” (Hunt lo schianto).
“Hanno detto di me
molte bugie. Forse quando correvo in Formula 3 avrò fatto qualche sorpasso
azzardato ma se non si riusciva a mettersi in buona posizione in gare con 50
concorrenti era perfettamente inutile arrivare al traguardo. Essere un pilota
non è affare per uomini pavidi o per ragionieri del volante”
Nonostante tutto, va avanti e arriva in Formula 1 grazie ad
un mentore: Lord Alexander Hesketh. Il paffuto, ricchissimo connazionale è
ammaliato dalla massima formula automobilistica e ha in testa una meravigliosa idea fissa: diventare
l'emblema della supremazia motoristica inglese. Prima gli finanzia alcune
gare del 1973 su una March 731
G (il debutto al GP di Francia) e nel 1974 arrivano tre
podi (tre terzi posti). Nel frattempo, si sposa con la modella Susy Miller, ma
dura poco. Lei si rifà una vita con l’attore Richard Burton, lui diventa il
playboy della F.1. Verrà accreditato di 5000 flirt.
“Non è Burton la causa
del fallimento del mio matrimonio. Da parecchio tempo, ormai, mia moglie era
nervosa, insofferente, non sopportava più l’ambiente delle corse. Probabilmente
è proprio perché rischi la pelle che mi ha piantato e ha preferito vivere con
Burton. Meno paure e più feste da ballo, vacanze. L’automobilismo non è uno
sport per padri di famiglia, almeno per capire questo il mio matrimonio mi è
servito. Adesso sono solo e posso dare tutto in corsa senza pensare a nessuno”
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Hunt su Hesketh precede Lauda al GP di Olanda 1975 |
Per il 1975, Hesketh commissiona ad Harvey Postletwhite una
monoposto del tutto nuova. Dalla factory di Dowcester uscirà bianca, con
strisce diagonali rosse e blu, colori dell'Inghilterra. Sui camion del team una scritta:
“Corriamo per voi, corriamo per la Gran
Bretagna ”. Soldi ed entusiasmo non mancavano (Lord Hesketh si
presentava sovente ai circuiti in elicottero o su uno yacht) e Hunt ci mette
del suo. Si fa decisamente notare grazie a due secondi posti e soprattutto alla
vittoria d’un soffio davanti a Lauda nel GP di Olanda.
“Ho un portafortuna
che non abbandono mai: un medaglione d’oro con inciso il famoso orsacchiotto di
Lord Hesketh”
Come spesso accade, sul più bello il rubinetto si chiude.
Hesketh torna nei suoi castelli ma per il dopo Fittipaldi la
Mc Laren di Teddy Mayer punta proprio sul
biondo inglese. Che si dimostra veloce. Ma c’è Lauda, imbattibile. Fino al
Nurburgring. Assente il ferrarista, Hunt vince a ripetizione e al suo rientro
continua a farlo. Tra i due – buoni amici per aver condiviso in Inghilterra i
primi anni di carriera – sono scintille e accuse reciproche di anti-sportività.
Fino all’epilogo al Fuji: Niki si ritira, senza combattere, dopo due giri sotto
l’acquazzone. Hunt va come un rullo compressore, rischia, e il terzo posto finale gli garantisce il
titolo. E una gran sbronza finale.
“Non so chi avrebbe
vinto il titolo mondiale senza quella faccenda del Nurburgring ma so che
sarebbe stato un titolo più affascinante, meglio assegnato. Ci ho rimesso anche
io a vincerlo così. Purtroppo non posso farci nulla: gli incidenti e anche le
discussioni e le liti fra costruttori con il regolamento in mano fanno parte
del nostro mondo”
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James Hunt e Niki Lauda: amici-nemici |
L’epica battaglia del 1976, anche a colpi di carta bollata,
tra Lauda e Hunt, tra la Mc Laren e la Ferrari resta negli annali
della F.1 e a settembre – il 2 la prima mondiale a Londra - il film da non perdere di
Ron Howard “Rush” ne celebrerà i fasti. Ad impersonare Hunt, l’attore Chris
Hemsworth.
“Ferrari è il più
famoso costruttore d’auto da corsa. Per questo mi diverto a battere le sue
macchine. Io corro per la Mc Laren e
sono contento della Mc Laren, dei progressi che i miei tecnici hanno fatto, ma
nessuno può vietarmi di sognare una Ferrari”
“La macchina è
femmina. Durante una corsa si può anche essere molto eccitati”
Campione del mondo, arriva la massima celebrità, ricchi contratti.
Il fratello Peter come manager. Lasciata l’Inghilterra, va a vivere in Spagna:
una bella villa a San Pedro, vicino Marbella, diventa il suo buen ritiro. Un
harem.
“Vivere in Inghilterra
è diventato pazzesco. Il fisco si mangiava quasi il 90% dei miei guadagni così
ho dovuto proprio scappare e cercare un Paese meno esoso”
“Mi piace cambiare
ragazza. Sono, diciamo, un consumatore di donne. Alla domenica sera festeggio
sempre con loro, sia che vinca sia che perda”
“So di avere la
reputazione di avaro. In realtà assumo questo atteggiamento per proteggermi
contro eventuali e inevitabili scrocconi ma con i miei amici sono molto
generoso”
Nel 1977 vincerà altre tre gare, le ultime della carriera.
Nel 1978 è tra i protagonisti della carambola dopo il via a Monza che costa la
vita a Peterson. Nel 1979 termina il sodalizio con la
Mc Laren e passa alla Wolf orfana di
Scheckter neo ferrarista (per il Cavallino si era fatto anche il suo nome). Un
lento, inesorabile declino. Le prime riflessioni.
“Se vale la pena di
rischiare? E’ un dubbio sciocco. Nessuno si chiede mai, per esempio, quante
vite sono state risparmiate con l’avvento dei freni a disco che sono stati
sperimentati in corsa. Così come non trovo giusto trattare i piloti come una
sottospecie di imbecilli che non sanno decidere da soli del loro futuro.
Nessuno ci obbliga a scendere in pista: è una scelta difficile ma libera e
questo dovrebbe bastare a porre termine a tante chiacchiere”
Dopo sette gare, improvvisamente dopo il GP di Montecarlo,
annuncia di attaccare il casco al chiodo (in realtà è solo coerente con quanto
preannunciato in passato).
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In Brasile sulla Wolf, nel 1979 |
“Nonostante gli
allettamenti economici non ho intenzione di diventare il più ricco corridore
sepolto in un cimitero. Ecco perché ho deciso di ritirarmi dalle corse quando
compirò i 32 anni. C’è una solo via per vincere nella mia professione: quella
di ritirarsi in tempo”
“Mi sono sempre fidato
dei miei riflessi e delle mie intuizioni. Il giorno che queste due qualità mi
sono venute a mancare ho chiuso con le automobili. Non vedo proprio perché
avrei dovuto continuare a rischiare per far fare soldi ai padroni del grande
circo dell’automobilismo”
“I costruttori di auto
da corsa? Tutte brave persone, finchè si vince”.
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